Cari “bimbi e bimbe” (come dicono i toscani per chiamare gente fino forse ai 40 anni)…o ancor più bello sarebbe dire C’ERA UNA VOLTA. Vi racconto una favola.
C’era una volta una ragazza, anzi prima una bambina, poi una fanciulla, piena di sogni, di speranze, di fantasie. Il primo mestiere che voleva fare da grande era l’insegnante, infatti costringeva il nonno a giocare con lei ricoprendo il ruolo dell’alunno. Erano gli anni delle scuole elementari.
Passò poi alle medie. Già li i sogni cambiavano, iniziava ad immaginarsi più come un avvocato, forse influenzata da ciò che non era probabilmente lei a desiderare quanto chi le stava intorno, come il suo papà.
Finite le medie eccola al passo successivo, il liceo. Non fu tanto quello ad influire sui sogni della fanciulla, furono invece le esperienze di vita vissute, il suo scoprirsi e guardarsi dentro, il suo avvertire che aiutare gli altri, donando amore e sorrisi gratuitamente, beh forse era quello che voleva fare nel suo futuro, bisognava solo capire come.
Una cosa, intanto, era certa: non avrebbe potuto fare un lavoro da burocrate, ma un lavoro di quelli che l’avrebbe tenuta a contatto con la gente.
Gli anni del liceo passano velocemente, vero? Si, passano e improvvisamente ci si ritrova lì, tra la consapevolezza (anche se ancora un po’ traballante) di ciò che si è e ciò che si vuole e la paura del decidere del proprio futuro, senza qualcuno che possa decidere al nostro posto. Forse è il primo momento in cui avvertiamo di esser diventati GRANDI ( e vorremmo improvvisamente regredire).
Successe così anche alla nostra protagonista della favola, la quale iniziò a pensare che forse far il medico era ciò che avrebbe voluto per il suo futuro. Ma non era così semplice seguire questo sogno. Medicina è una strada lunga, impegnativa, c’è un test di ingresso da superare e poi un altro ancora per la specialistica.
Il nonno, poi, le diceva sempre che per fare il medico bisognava esser figli di medici, e lei non lo era. In giro si diceva che per entrare in medicina dovevi avere “la raccomandazione”, altrimenti al 99% eri fuori. E lei la raccomandazione non la voleva.
Arrivò l’esame di stato, quello che dicono sia la prima di una serie di lunghe prove di vita.
Ho studiato 5 anni con la passione e l’amore di chi fa qualcosa perché le piace, ma qualcuno, a quell’esame pensò bene che era il momento per dimostrarmi che nella vita non sempre la meritocrazia ripaga. E non era il numero il problema credetemi, non era l’88 finale a non andar giù, erano state le ingiustizie e la cattiveria gratuita a far più male.
Ma non mi fermò quell’88. Dopo una settimana dagli esami di stato cominciai a studiare per il test di medicina, con un po’, anzi tanto, amaro in bocca, ma con una forza il doppio di prima. Volevo raggiungere i miei obiettivi, così da dimostrare a quella persona che non mi aveva fermata, anzi.
Ma non è come quando vuoi un giocattolo e la mamma te lo compra, non è come quando da piccolo sai che i genitori ti rendono l’impossibile possibile.
Arriva settembre e dopo un’intera estate passata a studiare non riesco a superare il test di medicina. Altra botta, solo dopo qualche mese.
Inizio biotecnologie, provo a dirmi che forse avevo sognato troppo, che forse non era medicina la mia strada, che era un segno perché magari non ne sarei stata all’altezza, che la vita mi aveva riservato altro. Ma no, mi dispiace dirlo, ma quel laboratorio mi faceva morire dentro. Cerco di dare qualche esame che mi avrebbero convalidato per medicina l’anno successivo, passano mesi bui, tristi, di rabbia e delusione. Ma non mollo. Torna settembre e riprovo il test, ma non solo. Bisognava trovare ancora un’altra alternativa alla successiva eventuale delusione. Così decisi di provare anche un test di professioni sanitarie, a Pisa. Medicina fuori, professioni sanitarie dentro.
Ed ora: lasciare casa e provare a cercare qualcosa che mi avrebbe soddisfatto di più o rimanere lì, accontentarmi di continuare in quella triste infelicità e magari poi riprovare medicina ancora l’anno successivo?
Per mio padre professioni sanitarie era però un po’ troppo “in basso” nella sua graduatoria sociale, e forse chissà, dopo, sarei solo stata una disoccupata, a parer suo.
Ma era e rimaneva il suo parere. Decisi di fare le valigie e partire. Nuova avventura, nuovi colleghi, nuova città. Ricominciamo.
Mi innamorai di quella facoltà, di ciò che studiavo e facevo, perdutamente. Tuttavia, durante il tirocinio in ospedale, ogni tanto sentivo quella vocina dentro che mi diceva: “Ma davvero vuoi fermarti? Davvero a vederli questi medici non ti vien voglia di riprovare? Davvero non ci pensi più al test?” Forse quelle mattinate in ospedale erano state provvidenziali, quelle esperienze stavano li a risvegliare quel sogno che a fatica, per rabbia ed orgoglio, delusione e amarezza, volevo chiudere nel cassetto, rinunciando e pensando che quella felicità lì mi sarebbe bastata. Ma non era così. Non mi bastava, ma non per il desiderio di futuri stipendi elevati o chissà che privilegi, ma solo perché la mia sete di sapere non si era ancora fermata. Aveva bisogno di altro.
Quell’anno la data del test fu esattamente il giorno del mio compleanno. Andai solo per questo motivo, sotto insistenza di molti che mi dicevano di riprovare, per l’ultima volta, vista l’importanza di quella data.
Entrai in medicina. I sacrifici, i pianti, la rabbia, quei due anni vissuti nell’ombra e nei dubbi, vissuti nell’attesa che qualcosa di bello potesse accadere, beh erano stati ripagati. E dovevo ringraziare solo una cosa: la mia testardaggine.
Si ragazzi, perché non è solo importante studiare ed essere dei geni, per realizzare i propri sogni ci vuole TESTARDAGGINE, testardaggine e CORAGGIO.
La testardaggine per non mollare la presa, il coraggio per superare le paure.
Da quando son nata ho vissuto in una realtà nella quale vigeva la rassegnazione e la passività, del tipo: IL MONDO è SEMPRE STATO COSì, DEVI ADEGUARTI. Mio padre me l’ha sempre ripetuto, così come mia madre e mille altri, accusandomi di essere solo una piccola incosciente illusa e infantile sognatrice.
Intanto son qui, a studiare per ciò che voglio, al fine di realizzare il sogno di alzarmi al mattino, andare in corsia e avvertire l’amore della gente e sentire le loro storie, prendendomi cura di anime e cuori e non di cartelle cliniche!
Non è stato facile ricominciare per l’ennesima volta.
Ma se voi aiutate i sogni, i sogni aiutano voi.
La vita così decise di farmi conoscere la mia vera salvezza, coloro che mi avrebbero aiutato a non perdere il mio entusiasmo ma a rendermi ancor più felice e sicura della mia scelta, perché se non l’avessi fatta non avrei conosciuto loro.
I miei meravigliosi compagni di sogni sono i membri di un’associazione di studenti di medicina, il SISM (cercate su internet e scoprirete tutto ciò che facciamo). Il nostro motto è : SII IL CAMBIAMENTO CHE VUOI VEDERE NEL MONDO.
Beh bimbi, con loro ho capito che non sono scema, non sono la pecora nera, non solo la sola e unica sognatrice. Anche loro sognano come me, si emozionano come me, vivono la vita non planando in modo superficiale, ma assaporando il senso profondo delle piccole cose, credono in dei valori come l’onestà, la giustizia, l’uguaglianza dei diritti.
Quando sto con loro mi sento bene, al posto giusto.
Insieme elaboriamo sogni megagiganti.
Il mondo di oggi non sta con i sognatori, ne sono consapevole, vuole abbatterli. Vuole gente che prenda delle lauree che fanno comodo al sistema, vuole gente che non si chieda il perché ma che si lasci plasmare dalle pubblicità e dagli oratori, vuole un mondo dove gli istinti, le inclinazioni, le passioni finiscano alla mercè dell’economia e della politica e della stupidità di chi vuol comandare.
Se vi ho scritto è per dirvi di non smettere mai di essere fabbriche di sogni e artefici del vostro destino, di non lasciarvi abbattere dalla massa, dalla rassegnazione e dal negativismo che ci circonda in questo periodo storico. I sognatori in realtà siamo tanti, ma siamo sparsi e offuscati dai “razionali rassegnati passivi“. Ma se ci facciamo spazio, se proviamo a trovarci, potremmo colonizzare il mondo intero di sogni che diventano realtà, di gente felice che crede in qualcosa e cerca di realizzarla.
La vita si vive una volta sola, almeno quella terrena. Non saprete se avrete mai, in altre vite, un’altra occasione per far ciò che volete fare adesso, per diventare ciò che desiderate.
Allora buttatevi, vivete, sognate e fate sognare, diffondete entusiasmo e positività.
Nessuno potrà darci la certezza che tutto andrà bene, non esistono cartelli stradali che indichino la strada più o meno giusta, la risposta è solo dentro di voi, ASCOLTATEVI.
Se crederete nei vostri sogni, non ci sarà uragano che potrà abbattervi. Se un giorno sarete ciò che avete tanto desiderato potrete donare al mondo il meglio di voi stessi.
Non vivete una vita da inetti. Non assaporerete mai quella strana felicità data da un sogno avverato, quell’entusiasmo di chi sogna durante il giorno e non solo la notte. Vivrete lo stesso si, ma come se viveste una vita che non vi appartiene e non vi rispecchia, con un senso di insoddisfazione perenne e col dubbio di dire “Beh, forse ce l’avrei fatta, forse quel sogno non era poi così impossibile da realizzare”.
BUONA FORTUNA SOGNATORI e perdonatemi per il mio esser stata prolissa e poco formale e probabilmente poco corretta nella sintassi! Ho scritto di cuore.
Maria Grazia, Mari.G, @ciccia.banana (nome instangram) o Strampallò (nome clown)
I sognatori possono avere tutti i nomi che sognano..
Commenti
Posta un commento