In
base ai dati forniti dal sito Vita.it dal
Ministero della Salute, a giugno 2015 i pazienti presi in carico dal Servizio
sanitario nazionale per problemi legati al gioco d’azzardo erano 12.376. Ma
secondo alcune stime sarebbero 800 mila gli italiani a rischio di patologia. La
dipendenza dal gioco colpisce indifferentemente tutte le classi sociali e di
reddito, dagli operai che si giocano lo stipendio ai professionisti affermati.
Si inizia con la voglia di vincere e si finisce per entrare in quella che
sembra una sfida contro se stessi, ma che in realtà è un perverso meccanismo
che conduce vorticosamente alla patologia, trasformandosi in dipendenza e
mutando vita sociale e personalità della vittima.Va comunque ricordato che, da
parte dello Stato, il giocatore non è inquadrato solamente in un’ottica
esclusivamente clinica come "malato", ma è visto anche come una
variante nella categoria del “consumatore”.

Secondo i dati raccolti nel 2014 dal Libro Blu
dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, tra le Regioni italiane,
quella più dedita a questo passatempo risulta la nostra, la Lombardia, con 1.040 euro pro capite giocati
all’anno. Le slot machine restano un business notevole, da sole
ricevono 47,5 miliardi, ovvero il 56 % di quanto gli italiani
riversano in gioco.
L’identikit del giocatore d’azzardo, secondo quanto
emerge dai dati pubblicati sulla rivista “Addiction” (risultato di studi fatti
oltreoceano) e segnalato dalla newsletter del Dipartimento Italiano delle
politiche antidroga, è generalmente un soggetto di sesso maschile, celibe, con
licenza di scuola media e con comportamenti impulsivi manifestatisi già dalla
prima infanzia. Un profilo, questo, che tuttavia è in costante mutazione, basti
pensare che solo negli ultimi anni il fenomeno ha iniziato a interessare sempre
più la popolazione femminile e i giovani facilitati dalla possibilità di
giocare online e nel completo anonimato, ma agevolati anche dalla vicinanza con
l’oggetto del desiderio, dato che è possibile trovare slot machine nel bar
sotto casa senza dover percorrere chilometri alla ricerca di un casinò come
accadeva nei tempi passati.
Il
fenomeno delle slot machine si incrementa già nel lontano 1978 quando vengono
istallati i primi microprocessori, chip digitali capaci di memoria, che
permisero di integrare il controllo della macchina con il controllo del
giocatore, creando dipendenza nei suoi comportamenti e un monitoraggio delle
sue abitudini di "consumo". Nel giro di due anni dall'introduzione
dei microchip, le entrate dei casinò di Las Vegas legate alle macchinette
schizzarono al 40% del totale delle entrate totali da gioco, raggiungendo il
75% nel 2000.
Le
macchine impostano valide aspettative nel sistema cognitivo umano e poi le
violerebbero, facendo leva sulla razionalità dei giocatori, non sulla loro
irrazionalità. In sostanza, come ha dimostrato Natasha Schull, antropologa,
specializzata nello studio dell'interazione fra uomini, tecnologie e ambiente, le
macchine sono programmate per generare dipendenza, non per altro.

Le
slot machine sono studiate appositamente per suscitare infatuazione e una
reazione meccanica, mai un'interazione ludica (tipica invece del gioco
d’azzardo associativo che conserva la dimensione del gioco). Là dove prevalgono
pratiche di gioco dissociative, rispetto a quelle associative tutto muta: muta
il gioco, muta l’azzardo, ne muta la fisionomia. Il giocatore attribuisce alla
macchina una volontà propria, riuscendo a costruire attorno alla macchina una
vera e propria zona di intensità affettiva: diventa un legame con un simulacro,
con un idolo.
L'idolo
è un tema chiave per affrontare la questione: il nostro tempo ha sostituito al
culto di Dio il culto degli idoli di cui il denaro è l’espressione più semplice
e radicale in quanto rende possibile l’illusione che il suo possesso in grandi quantità
consenta la realizzazione di una vita soddisfatta. In realtà il culto dell’idolo
si rivela essere una forma radicale di schiavitù: il soggetto si consegna al
suo idolo perdendo se stesso; non si soddisfa mai nel consumare, poiché,
cercando di colmare una mancanza non fa altro che continuare ad alimentare
questo vuoto che esige di essere compulsivamente riempito. In questo senso il
culto dell’idolo è sempre una operazione perversa, se la perversione è il
tentativo di diventare padroni assoluti del proprio desiderio. Si finisce per
diventare consumati da ciò che si vuole consumare.
Colui
che gioca alle slot machine è un uomo solo, ripiegato sul proprio desiderio,
chino sulla macchina, dimentico del mondo che scorre al di là dello schermo, è
un uomo che sta sviluppando una dipendenza, che come quella da droghe è caratterizzata
dalla perdita del controllo, assuefazione, problematiche legate all’astinenza e
continue bugie. La nevrosi del gioco
d'azzardo è una dipendenza non meno devastante di quella da sostanze; l'angoscia
di sottostare alla vita comune, fatta di tempi lunghi e di fatiche, è tale da
spingere questi soggetti verso una fuga dettata dall'illusione di una vincita
facile.
Come
per ogni tipo di dipendenza, diventa impossibile liberarsene fintanto che ci si
ostina nell’idea di non avere alcuna difficoltà, e di poter smettere a proprio
piacimento.
Per comprendere cosa c’è alla base di tale difficoltà sarà necessario chiedere
un supporto professionale in quanto nell'oasi di
solitudine che il soggetto si è creato sarà sovente il ricorso a ragionamenti
apparentemente razionali che innestano ed alimentano un circolo autodistruttivo
in cui se il giocatore dipendente perde, giustifica il reiterarsi del suo gioco
col tentativo di rifarsi e di “riuscire almeno a riprendere i soldi persi”, se
vince si giustifica affermando che “è il suo giorno fortunato e deve
approfittarne”.
Prof.ssa
Fabiola Piccolo
Docente
I.R.C.
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