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Nicea e Costantinopoli: due concili sotto il segno di un credo


Il concilio di Nicea (325 d.C.) è stato il primo concilio ecumenico del mondo cristiano, secondo la prassi del concilio di Gerusalemme di età apostolica che ci viene riferito dagl’Atti. Convocato e presieduto dall’imperatore Costantino I, il concilio nacque per placare le diverse dispute che, in seno alla chiesa stavano nascendo, minacciando di conseguenza l’unità e la stabilità dell’impero. Lo scopo del concilio quindi era quello di rimuovere le divergenze che nella chiesa di Alessandria si erano create, e stabilire la natura di Cristo in relazione al Padre; in particolare, stabilire se il Figlio fosse della stessa sostanza. Riguardo ai dati sul numero esatto di partecipanti al concilio le fonti sono molto discordi e ognuna offre una sua interpretazione; per esempio, sant’Atanasio nella lettera agli africani, racconta di 318 Padri che presiedettero le sedute del concilio. Quando la discussione ebbe inizio, la maggior parte dei partecipanti risultava ancora non schierata, ma ben presto quando i protagonisti cominciarono ad esporre le loro teorie si accese un dibattito fortissimo, tanto è vero che il clima fu a dir poco turbolento; il dibattito sulle tesi formulate da Ario degenerò a tal punto che Nicola di Mira diede uno schiaffo all’eresiarca; tale affermazione è sostenuta da Pietro de Natalibus, il quale racconta dello schiaffo ad Ario. La tesi ariana fu in un primo tempo esposta da Eusebio di Nicomedia ed in seguito dallo stesso Ario, il quale venne chiamato a giustificare il suo operato davanti all’imperatore. La tesi contraria all’arianesimo fu sostenuta soprattutto da Alessandro vescovo di Alessandria e da Atanasio semplice sacerdote ma teologo molto valido e stimato che già in passato aveva avuto uno scontro durissimo con Ario; essi argomentarono le loro tesi in modo così efficace che convinsero la stragrande maggioranza dei vescovi presenti ad accettarle.

Venne così, ribadita solennemente la divinità di Cristo, procedendo alla formulazione di un simbolo o credo che esprimeva la fede comune della chiesa; per quanto concerne la natura del Verbo fu inserito il termine homoousios ovvero consustanziale. In definitiva, il Figlio generato dal Padre è della sua stessa sostanza, mentre il punto centrale della dottrina ariana affermava proprio la negazione della consustanzialità. Su suggerimento di Eusebio di Nicomedia si arrivò a definire una dichiarazione di fede che venne anche chiamata: simbolo niceno o credo niceno.

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Questo simbolo che rappresenta ancora oggi un punto centrale delle celebrazioni cristiane, stabilì esplicitamente la dottrina dell’homooùsios, cioè il concetto della consustanzialità del Padre e del Figlio, ovvero la negazione del principio che il Figlio sia stato creato, genitum, non factum; e che la sua esistenza sia posteriore al Padre, ante omnia saecula. Con il Concilio di Nicea, l’arianesimo venne dichiarata dottrina eretica e messa al bando; Ario e i due vescovi che avevano sostenuto tale dottrina furono scomunicati e mandati in esilio. L'opera di Nicea fu ripresa dal secondo Concilio Ecumenico, tenutosi a Costantinopoli nel 381, in quanto in molti erano concordi nell’affermare la necessità di completare il lavoro compiuto a Nicea mezzo secolo prima. Il momento propizio per il completamento del lavoro di Nicea si manifestò, dopo la decisione dell’imperatore Teodosio di tenere un concilio ecumenico a Costantinopoli. I lavori del concilio cominciarono nel maggio 381 e vi parteciparono circa 150 vescovi provenienti dalle sedi orientali, ma occorre segnalare che durante i lavori del concilio non furono presenti delegati papali.
A Costantinopoli venne ampliato ed adattato il credo niceno, sviluppando in particolare l'insegnamento sullo Spirito Santo, al credo di Nicea venne aggiunta una parte che diceva: Noi crediamo nello Spirito Santo. La precisazione che risulta rilevante è: che è Signore e dà la vita, procede dal Padre, che col Padre e col Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti; con questa affermazione si afferma la divinità dello Spirito Santo escludendo una sua subordinazione alle persone divine. Il concilio quindi, ebbe grande rilevanza, in quanto vennero chiuse le discussioni sulla Trinità iniziate a Nicea. Altrettanto importanti furono i canoni disciplinari stabiliti a Costantinopoli, infatti venne affermata l’autonomia delle provincie ecclesiastiche, i cui problemi andavano risolti all’interno del rispettivo sinodo provinciale dei vescovi. La posizione di Costantinopoli, ora capitale dell'Impero, non poteva più essere ignorata, e le fu assegnato il secondo posto, dopo Roma e al di sopra di Alessandria. Il vescovo di Costantinopoli avrebbe avuto da quel momento le prerogative d'onore dopo il vescovo di Roma, poiché Costantinopoli era la nuova capitale dell’Impero.
Vediamo dunque che il “Credo”, recitato nelle Chiese di tutto il mondo , è stato protagonista di una lunga e travagliata storia, che grazie all’apporto dei più grandi santi e teologi del tempo, lascia inalterata la sua bellezza e il suo grande valore anche a distanza di quasi duemila anni.


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