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Caro giudice Borsellino

Caro Giudice Borsellino,
Lei non mi conosce e quando ventidue anni fa, insieme agli agenti della sua scorta, venivate uccisi in un "vile" attentato in via D'Amelio a Palermo avevo solamente cinque anni.

Oggi che sono insegnante, vorrei ricordarla affinché i miei studenti possano comprendere la grandezza di ciò che lei e molti altri uomini avete fatto in nome della giustizia.
Lo voglio fare iniziando da queste sue parole che mi sono rimaste impresse, scolpite nella mente.

"Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio [...] le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro".

Molti si chiedono perché ricordare certi uomini del passato. A molti sembra persino insensato, ma noi giovani abbiamo imparato, forse, a comprendere che è importante fare memoria del proprio passato.
Ogni cittadino onesto deve farlo, è un suo diritto, ma soprattutto un suo dovere. Fare memoria del passato serve a non trincerarsi dietro la cortina dell'indifferenza e del relativismo. Fare memoria è una potente medicina contro l'assuefazione a situazioni che non possono essere accettate per nessuna ragione. Fare memoria significa quindi guardarsi indietro, verso un passato che ha tanto da insegnarci. Infatti, come lei stesso affermava, "la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, [deve essere] un movimento culturale e morale che [coinvolga] tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità".

Noi giovani generazioni, raccogliamo il suo appello. Lei stesso, infatti, ci ricordava: "Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene". Oggi lo facciamo anche attraverso i social network. Cambiano i mezzi di comunicazione, non l'impegno e la lotta contro la mafia. Vorremmo proprio sentirla un giorno "la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità".
Quindi non possiamo restare indifferenti, noi giovani, perché come ricorda Dante Alighieri: "i luoghi più caldi dell'inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali".

Siamo sulla buona strada e da qui continuiamo il cammino!!
La strada è ancora lunga, ma noi però non ci fermeremo mai, perché le idee di uomini come lei (e di altri uomini di giustizia) devono continuare a camminare sulle nostre gambe. Perché? Semplice. Chi si ferma è perduto!
Con stima profonda
Prof. RH+



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