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Dante, il cielo e le stelle

Oggi in classe, parlando di Dante, ho detto (citando Benigni): "Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto! Sperperate l'allegria! Siate tristi e taciturni con esuberanza! Fate soffiare in faccia alla gente la felicità! E come si fa? Per trasmettere la felicità bisogna essere felici. E per trasmettere il dolore bisogna essere felici. Siate felici! Dovete patire, stare male, soffrire, non abbiate paura a soffrire, tutto il mondo soffre! Avete capito? E non cercate la novità, la novità è la cosa più vecchia che ci sia. Buttatevi a terra! È da distesi che si vede il cielo!"
Dante ci insegna proprio questo, ma noi esseri umani (forse) nel corso dei secoli abbiamo dimenticato ciò che il creatore ci ha donato: quel bisogno innato posto nel cuore di ognuno di andare oltre. Di guardare le stelle da distesi per contemplarle e per ambire a cieli nuovi e a sogni grandi.
Molti passano la propria vita ad accontentarsi di esistere anziché vivere. Ad ambire a piccoli momenti di felicità, che inizialmente appagano, ma che sono destinati ad aprire voragini dentro all'anima. Perché la felicità effimera appaga, ma è solo un palliativo. Una soluzione temporanea destinata a fallire.
Forse sarebbe più facile alzare lo sguardo solo per un momento e lasciare tutte le stelle al proprio posto. Lasciare che ogni stella cadente passi anonima e silenziosa senza far danni. Preferisco, però, mettermi comodamente disteso a terra, fissare il cielo, cercare la mia stella e sperare che cominci a brillare solo per me.
Paci, amuri e biddizzi!
Prof. RH plus

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