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Se puoi sognarlo, puoi farlo

"Se puoi sognarlo, puoi farlo". Questa celebre frase di Walt Disney é stata in questi giorni al centro delle nostre discussioni in classe e ha animato le opinioni dei miei ragazzi. Ma é poi così scontato sognare così in grande? É plausibile aspirare a tanta grandezza in una società, come quella odierna, che ci vuole cinici e pragmatici? Queste sono state le domande emerse durante la discussione in classe. E la risposta l'abbiamo trovata in una frase che Leo, protagonista del libro di Alessandro D'Avenia "Bianca come il latte, rossa come il sangue" , pronuncia nel suo dialogo con Terminetor (il suo cane): "...mi piace sognare di avere un sogno". Una frase che ai più sembra, apparentemente, insignificante ma che é perfettamente il paradigma della realtà di ogni essere umano: non si può sognare qualcosa di grande se prima non si ha la capacità di concepirlo un sogno. Di sentirlo dentro come una scarica di adrenalina che ti fa avvertire il fresco profumo della speranza. Infatti, se ad un essere umano viene negato il diritto di sognare o lui stesso, per qualsiasi motivo, smetta di sognare il discorso cambia. Analizziamo i due casi con i due esempi, tra i tanti, emersi in classe.
1. L'uomo e la donna di uno dei tanti campi di sterminio che Primo Levi (sopravvissuto ai lager nazisti) descrive in "Se questo é un uomo" : Nella prima parte della poesia Primo Levi indica i destinatari delle sue parole, "Voi che vivete sicurinelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici". Casa, cibo caldo e visi amici: sono elementi questi che in un contesto di "normalità" vengono spesso trascurati, ma che in realtà sono quanto ogni essere umano dovrebbe avere nella propria vita e che purtroppo per qualcuno nel passato come nel presente sono solo un qualcosa di desiderato. Quindi dovremmo fare autocritica quando ci lamentiamo di quel tanto che abbiamo nelle nostre vite, pensando che per altri ciò che consideriamo "normalità", e delle volte anche "pesi", siano delle vere e proprie "manne dal cielo". Quindi Primo Levi rivolgendosi a noi fortunati di tutti i tempi ci interroga continuando: "Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare". Come può un uomo o una donna sognare in tali condizioni? La risposta é una sola, non può. Ma, non per la situazione di sofferenza che hanno vissuto questi individui, perché la sofferenza (più o meno grande) é parte integrante della vita di ogni essere umano come la felicità, anzi guai se non si é passati nel vortice della sofferenza perché altrimenti significa che si é vissuta una vita piatta, da vegetali. Qui invece si parla della perdita di dignità di una persona che ridotta a non essere, é stata privata della sua specifica grandezza di creatura e di conseguenza della sua capacità di sperare e sognare. Infatti, quando veniamo alla luce abbiamo i pugni chiusi, ben serrati, con all'interno due elementi di cui la nostra genitrice (oltre alla vita) ci ha fornito per camminare al sicuro su questa terra: la capacità di sognare e sperare. Di conseguenza quando una persona viene segregata, disprezzata, isolata, annichilita e violata si sta colpendo non solo il suo corpo ma soprattutto la sua anima; e si sa gli squarci dell'anima sono i più difficili da ricucire, anzi é pressoché impossibile. In definitiva, allora, violando la dignità umana si sta compiendo una delle peggiori colpe che un essere umano possa compiere contro un suo simile, proprio perché privandolo della capacità di sognare e sperare lo si trasforma in una "non-persona". In un corpo umano con "vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d'inverno".
2. Il secondo caso é quello di una persona che decide arbitrariamente di vivere una vita mediocre senza sogni da realizzare, solo per paura di farsi male inseguendo il proprio sogno: molti nella società odierna hanno spento l'interruttore dei sogni restando alla finestra, come il buon Leopardi, a guardare da lontano la propria Silvia per paura di essere per l'ennesima volta rinnegati dalla propria aspirazione. E l'immobilismo o si traduce,  come nel caso di Leopardi, in una continua esternazione del proprio genio creativo tramite il dolore e la sofferenza che ci si porta dentro oppure, il che é di gran lunga molto peggio, in un lento appiattirsi fino all'apatia. Ma può ridursi l'uomo a tanto? Può diventare l'ombra di se stesso? La risposta é scontata, può e lo vediamo costantemente nella realtà che ci circonda. Su internet, per esempio, assistiamo al continuo processo di svilimento della dignità umana. Per noia ci si mette in gioco per sfide assurde a chi si ubriaca di più su You tube. Per noia, altro esempio, alcuni tendono a crearsi una vita totalmente virtuale dove al massimo se va tutto male muori (sempre virtualmente parlando) e risorgi in un fake con un nuovo profilo e nuovi "amici". Oppure uscendo dalla rete, sempre per noia altri tendono a rifugiarsi in una realtà alterata dove niente é brutto, il mondo é da sballo però ci si sveglia il giorno dopo con uno squarcio in mezzo al petto. Anzi dentro. E l'elenco, se continuassi, sarebbe infinito.

Perché allora non spendere il proprio tempo e le proprie energie a lottare per ciò in cui si crede? Perché non vivere una vita da svegli, che anche se fatta di ferite che bruciano saranno poi rimarginate dalla vita stessa? Perché non considerare le cicatrici della nostra vita come autografi di Dio che ci ricordano che nessuno potrà vivere la nostra vita al nostro posto? Perché smettere di sperare in qualcosa di grande se ogni sogno, con la fatica e l'impegno può diventare concreto o per lo meno concretizzabile? Perché pur vivendo nella società del benessere siamo costantemente infelici e incapaci di guardare la luce in fondo al tunnel?

Queste domande sono per te che hai avuto la pazienza di arrivare alla fine di questo articolo senza chiudere la pagina. Per te che abbandonando il palliativo della vita da perenne insoddisfatto ti abbandoni alla medicina agrodolce che é la vita. Per te che come nella parabola del Seminatore, prendi come seme di speranza queste domande per farle crescere nel terreno buono del tuo cuore. E sono anche per te, lettore che hai chiuso la pagina e l'hai riaperta. Vorrà dire che hai aperto uno spiraglio nella porta del tuo cuore in attesa di far entrare quel vento fresco chiamato speranza e che sono certo si tradurrà poi in sogno. E poi chissà, solo chi vivrà vedrà!
A presto!
Prof. RH

Commenti

  1. ....ci sono Vite e vite, le prime sognano di vivere davvero, le seconde pensano di vivere già. Fino che muore l'uomo è un continuo evolversi di desiderio, che lo spinge a rendersi sempre migliore e a migliorare quello che lo circonda.

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